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Logistica per la cooperazione internazionale

Oggi parliamo di logistica, un’area di lavoro poco conosciuta all’interno della cooperazione internazionale, con Bruno Clerici, cooperante e formatore, con una vasta esperienza in Africa Centrale.

Come si è specializzato in logistica per la cooperazione?

Dopo aver fatto una scuola professionale di meccanica, ho lavorato in quest’ambito per alcune aziende nella mia zona, il Comasco. Poi a metà degli anni ’90 mi ha accarezzato l’idea di partire come volontario all’interno di un progetto sociale all’estero. Dopo un paio di campi estivi di lavoro con associazioni italiane, ho avuto la possibilità di sfruttare le mie competenze meccaniche per partire volontario con i missionari cappuccini in Repubblica Centrafricana.

L’idea iniziale era un anno di volontariato per gestire il garage della missione, ma poi sono rimasto lì due anni. Avevo all’epoca 25 anni e quest’esperienza mi ha permesso di conoscere per la prima volta il continente africano, rendermi conto che avevo una certo adattabilità a quel tipo di contesto complesso e capire che ero in un certo senso portato per la vita del cooperante.

Con i missionari ho imparato come comportarmi in situazioni complicate e non scoraggiarsi ma perseverare per ottenere dei risultati. Tutto ciò mi è servito molto per il futuro.

Una volta rientrato in Italia ho continuato comunque a lavorare nel campo della meccanica, ma colsi subito l’occasione offerta da Intersos con un corso di formazione per lo sminamento umanitario nel 2001, per ritornare nel settore della cooperazione internazionale. Qui, dato il mio background, sono stato indirizzato ovviamente verso la logistica e ho avuto la possibilità di lavorare con Intersos in Angola come logista di un progetto di sminamento.

Questa esperienza mi ha fatto entrare nel mondo delle ONG. Dopo l’Angola ho lavorato in Niger con l’organizzazione ICEI e poi ho iniziato a collaborare nel febbraio del 2003 con COOPI in un programma di emergenza sanitaria come logista nel Nord della Repubblica Democratica del Congo.

In tutti questi casi ho lavorato in progetti non di primissima urgenza, ma in un contesto emergenze e crisi di medio-lungo termine.

Poi COOPI mi ha proposto di diventare coordinatore logistico in Congo, a Kinshasa e ci sono rimasto più di due anni. Di seguito sempre con la stessa organizzazione mi sono spostato in Chad. In totale con COOPI ho lavorato per 10 anni con missione in RDC, Chad, RCA, Mali, Haiti, Nigeria e anche a livello di sede centrale a Milano.

In seguito ho lavorato con una ONG francese, Handicap International in Burundi. Dato che in quel momento la sezione francese e la sezione belga dell’organizzazione stavano realizzando una fusione, mi sono trovato ad occuparmi della fusione dei team logistici, uniformando tutte le procedure logistiche in vigore.

Specializzatomi così in questo tipo di processo, la stessa organizzazione mi ha proposto di lavorare alla fusione dei team di logistica in Asia, con lo staff di Laos, Cambogia e Tailandia.

In questi ultimi casi si trattava di progetti di sviluppo e non di emergenza, quindi ho potuto vedere le differenze del lavoro nei due contesti, a livello di ritmo ed organizzazione.

Logistica in sviluppo ed emergenza

In termini di logistica ci sono molte più opportunità di lavoro in contesti di emergenza, dato che spesso in contesti di progetti di sviluppo non c’è molta rotazione o turn over a livello di personale, mentre nei contesti di emergenza data la pressione e il rischio di burn out c’è molta più rotazione.

Inoltre nei progetti di sviluppo la componente di logistica e quindi la necessità di avere personale specializzato può variare molto.  Tendenzialmente però nei progetti di emergenza la componente logistica è alta, a partire dalla gestione del parco macchine e dalle attività di distribuzione.

Per questo in contesti di emergenza è ancora più importante relazionarsi e coordinarsi, “fare cluster” con le altre organizzazioni presenti per definire una strategia comune, sapere chi è presente dove, lavorare insieme per abbattere i costi o aumentare la sicurezza, ad esempio condividendo una warehouse o magazzino o organizzare congiuntamente un convoglio di aiuti. Inoltre, un logista in emergenza è di solito molto più coinvolto nella sicurezza.

La figura del logista poi può cambiare considerevolmente a seconda dell’organizzazione nella quale è inserito. Se pensiamo ad esempio a ONG che lavorano principalmente sulla sanità ad esempio Medici Senza Frontiere ha in medicinali e forniture mediche, Handicap International ha logisti specializzati in protesi e accessibilità.

Nel contesto italiano in genere il logista è più generalista, dato che le ONG italiane di solito lavorano su più ambiti, anche se può capitare di lavorare spesso in una stessa area e quindi specializzarsi come ad esempio con Intersos ci si può specializzare nella logistica del camp management, acquisendo esperienza sulla gestione degli items che servono nei campi rifugiati o sfollati interni. Però se sei magari logista di una base medio-grande di una ONG potresti avere 3-4 progetti da gestire con attività diverse, da malnutrizione a distribuzione a WASH.

Cosa fa un logista?

Il logista risolve i problemi: dalla macchina di progetto in avaria, all’espatriato in arrivo bloccato in aeroporto, dal computer che non funziona, a garantire le comunicazioni in aree remote con telefono satellitare.

Il logista si occupa delle procedure d’acquisto, preoccupandosi di rispettare i requisiti richiesti dal donor e garantire una buona rendicontazione insieme all’amministrazione.

Il logista può occuparsi di identificare un magazzino, dei punti di distribuzione, e il percorso degli items se si sta occupando ad esempio di distribuzione di kit d’emergenza, o può trovarsi a gestire la costruzione di un centro per il trattamento del colera e dover seguire quotidianamente il cantiere, fino all’arrivo e all’accoglienza dei pazienti.

Quando c’è nel progetto una componente importante di costruzione, ad esempio in interventi WASH, il logista è quasi sempre sul campo per monitorare l’andamento dei lavori.

Per logisti specializzati in emergenza è comune tra le ONG sia italiane che straniere utilizzare dei roster. Un logista può iscriversi e se viene accettato nel roster possono contattarti in caso di necessità per una missione, ma normalmente non sei un dipendente dell’organizzazione.

Alcune organizzazioni più grandi, di solito straniere, hanno invece i cosiddetti flying log. Logisti che lavorano nella sede centrale dell’organizzazione di solito part-time per una certa percentuale del loro tempo, ad esempio 30% con funzioni di supervisione  e accompagnamento e poi per il resto del tempo vanno in missioni più o meno brevi. In questi casi c’è un contratto di lavoro più lungo con l’organizzazione.

Almeno in Italia non esiste al momento un network formale di logisti. A livello europeo un riferimento importante per chi si occupa di logistica è l’istituto francese Bioforce, specializzato nella formazione di personale umanitario, che ha sede a Lione. E ovviamente il log cluster del PAM o Programma Alimentare Mondiale, leader della logistica per le Nazioni Unite.

In Italia qualche anno fa c’è stata la prima edizione di un Master in Logistica Umanitaria, promosso dall’ Università Politecnica delle Marche in partenariato con organizzazioni come Intersos, la Croce Rossa Italiana ed Emergency.

Tuttavia formazioni specifiche sulla logistica sono ancora poche in Italia, anche se la logistica sta prendendo più spazio come componente nei Corsi di specializzazione e nei Master sulla cooperazione internazionale. È il caso ad esempio della Scuola Cospe e della Scuola di cooperazione internazionale di Coopi, della Social Change School e del Master in Cooperazione e Sviluppo di Pavia.

La curiosità e l’interesse per la logistica non mancano, ad esempio con il corso che ho organizzato io “La logistica nella cooperazione internazionale” sulla piattaforma online di Gnucoop, alla prima edizione in italiano abbiamo avuto tantissimi partecipanti.

Si parla di impatto ambientale e sostenibilità in logistica?

Personalmente è un tema che mi interessa molto e anche pensando alle occasioni in cui mi trovo ad essere un formatore ho preparato una guida sulla logistica sostenibile in vendita online, che ho utilizzato ad esempio per la formazione sulla logistica umanitaria di Gnucoop Academy. Anche lo stesso cluster log ha appena pubblicato una formazione sulla green logistics

C’è più attenzione, molti logisti che ho formato negli ultimi anni mi hanno detto che erano molto interessati a quest’aspetto. Nella mia percezione il tema interessa, ma ancora non ci si investe molto a livello di ONG. Bisogna dire che la maggior parte dei donatori quando parla di sostenibilità non guarda alla sostenibilità in aree specifiche come la logistica ma parla di sostenibilità a livello generale di progetto.

Ad esempio sia AICS che la UE richiedono quando si partecipa a un bando di dettagliare quale potrebbe essere l’impatto ambientale e come ridurlo al minimo già a livello di progettazione. Quindi il logista viene dopo, e la sostenibilità della logistica dipende molto dagli input che il project manager avrà dato durante la formulazione di progetto.

Se penso alla logistica umanitaria, la prima cosa per renderla più sostenibile è partecipare ai cluster e unire le forze con le altre ONG. Ad esempio tenere magazzini condivisi, organizzare grossi trasporti in convogli condivisi per essere più efficienti ed inquinare meno.

Un logista inoltre sia per progetti umanitari che di sviluppo può preoccuparsi di trovare un accordo con i potenziali fornitori per inserire nei contratti il riciclo degli imballaggi o trovare delle associazioni locali che possano recuperare i materiali riciclabili. Anche nel caso di medicinali si dovrebbe pensare di individuare fornitori disposti a ritirare eventualmente i medicinali scaduti, e fare lo smaltimento in maniera corretta.

E poi oltre a regole generali bisogna prestare attenzione ai singoli acquisti e alla scelta degli item distribuiti all’interno dei progetti. Ad esempio discutendo con dei colleghi giordani dell’ambasciata svizzera di Amman durante la formazione di Supply Chain in Humanitarian Action per HUMCAP – Humanitarian Capacity ho sentito di un caso di acquisto diciamo “sbagliato” e inquinante. In un campo per rifugiati siriani avevano comprato dei materassi gonfiabili in plastica. Molti dei materassi sono col tempo scoppiati o si sono rovinati e il loro smaltimento è diventato un vero problema. Probabilmente delle brandine sarebbero state una scelta meno impattante dal punto di vista ambientale e sarebbero durate di più.

Consigli per chi si vuole avvicinare alla logistica?

African American worker writing inventory list while checking stock in storage room.

Mostrare entusiasmo ed essere pronti a misurarsi con contesti complessi per cominciare ed imparare. Durante le formazioni mi è capitato di incontrare studenti volenterosi di fare una esperienza di stage all’estero e mostrarsi interessati, entusiasti e pronti a partire in questo caso può fare la differenza.

Soprattutto nel caso della logistica, è più facile trovare possibilità di partire per Paesi complessi e un po’ più “scomodi” per un espatriato. E la complessità di certi Paesi ti fa crescere molto e velocemente nell’area della logistica perché ti fa fare i conti con tante problemi e questioni difficili da risolvere. Ti fa fare le ossa insomma.

L’ideale è essere disponibili anche ad investire un po’ di tempo nello stesso posto, anche 2 – 3 anni. Questo dà il tempo di crescere professionalmente e essere valorizzato da una stessa ONG, magari passando da assistente, a logista di progetto a logista di più progetti in una specifica area.

E poi percepisci anche come magari un problema che avevi avuto un anno e avevi gestito in un modo, poi a distanza di tempo ti ritrovi a gestirlo in modo più performante.

Ci sono formazioni che alla fine del percorso prevedono un periodo di stage all’estero e queste opportunità sono preziose. Oppure magari hai delle esperienze di gestione magazzino o acquisto nel settore profit e puoi farle presenti per entrare nella cooperazione.

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